Commento alla XXVII Domenica del Tempo Ordinario – Anno A

Monastero di Bose - Il Figlio inviato nella vigna

– 4 Ottobre 2020 –

«Da ultimo mandò loro il proprio figlio»

INTRODUZIONE

G. – Custodi di un dono affinché porti frutto. Celebriamo oggi la XXVII Domenica del tempo Ordinario. Il “canto della vigna”, nella prima lettura, inaugura il tema delle nozze di Yhwh con Israele, tema che ritornerà spesso nella letteratura biblica. Questo canto, ritmato dal verbo “attendere”, denuncia la delusione di Dio. Le vicende del popolo di Israele ripetono costantemente lo stesso motivo: da una parte l’amore di Dio, dall’altra il tradimento del popolo; da una parte la cura di Dio, dall’altra un ostinato rifiuto. Amore e delusione sono l’impasto di questa lettura simbolica della storia del popolo di Israele, ma è una storia che non può continuare all’infinito. La pazienza di Dio ha un limite e ci sarà un giudizio. Nella seconda lettura, tratta dalla lettera ai Filippesi, Paolo presenta due fondamentali punti di riferimento per il cristiano: la tradizione della Chiesa («le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me») e tutto ciò che di buono e vero è sparso nel mondo («quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, questo sia oggetto dei vostri pensieri»). Il meglio della cultura umana ha diritto di cittadinanza nel comportamento cristiano. La Chiesa è il nuovo popolo di Dio, erede della vocazione a cui è venuto meno Israele. In Gesù Cristo essa è diventata il vero Israele, ma deve continuamente difendersi dal pericolo di rifiutare, con le sue infedeltà, l’amore e la salvezza che Dio offre In osservanza alle disposizioni anti Covid-19 si ricorda che ci si può sedere solo nei posti indicati e indossando la mascherina ben posizionata su naso e bocca.

PRESENTAZIONE DEI DONI

G. – Con il pane, il vino, il cesto della solidarietà presente in ogni negozio della Città offriamo al Signore il pane che sfama ogni povertà

RINGRAZIAMENTO ALLA SANTA COMUNIONE

G. – La vigna è di Dio e a noi è stata solamente affidata: ecco perché non possiamo considerarcene i padroni. Su questa umanità Dio ha profuso tutta la sua compassione e la sua misericordia: ecco perché dobbiamo trattarla con tutta la cura e l’amore possibili. Certo, Gesù, la parabola ha un finale piuttosto triste, se non addirittura minaccioso. Ma tutto il racconto è intriso di una violenza inspiegabile. Perché mai quei contadini si rifiutano di dare un raccolto che non spetta a loro? Perché mai si permettono di bastonare, lapidare, uccidere gli inviati del padrone della vigna e addirittura di mettere a morte il suo stesso figlio, l’erede? È vero, Gesù, queste pretese di farla da padroni non hanno alcun senso. Eppure accade anche a noi di arrogarci il diritto di prendere il tuo posto, comportandoci a modo nostro. Gesù, non permettere che vantiamo diritti nei tuoi confronti: a noi spetta solo riconoscere l’opera suscitata dal tuo amore e corrispondervi, portando frutto.