“Gli uomini sono come il vino. Alcuni diventano aceto, i migliori invecchiano bene.“
Carissima Comunità,
il tempo, come si suol dire, “passa”, ma forse è meglio dire “vola”: ancora una volta siamo qui a fare memoria di un avvenimento accaduto duemila anni fa, che non solo vogliamo ricordare con la nostra memoria. Per i cristiani, per la Chiesa, significa rivivere nella celebrazione la morte e la risurrezione di Gesù, la sua Pasqua. Che cosa ci vuol dire questa Pasqua? Ovviamente ognuno di noi ha la sua vita, la sua storia, i suoi momenti, i suoi pensieri e desideri. Pensando in maniera molto semplice di poter fare gli auguri a tutti, uomini e donne di ogni fede e cultura, penso alla pagina del Vangelo secondo Luca, cap. 24, una pagina famosissima, cosiddetta dei “due discepoli di Emmaus”. Mi sembra che possa bene richiamarci al cammino della vita, prima di tutto della vita di questi due discepoli, che tornano a casa il primo giorno dopo il sabato – secondo il computo ebraico della settimana – disperati. “Speravamo”: quel verbo dice il loro cuore. Speravano che questo Gesù fosse davvero il Messia, l’atteso Messia che finalmente potesse rialzare le sorti d’Israele. E invece quella pietra rotolata davanti al sepolcro sembrava aver chiuso, sigillato in maniera inesorabile quella speranza. Se ne tornano a casa, appesantiti dentro, non dai chilometri, ma nei cuori. Non sperano più, non c’è un futuro, si tratta di “tirare avanti”, come si dice certe volte. È allora che si accompagna a loro Gesù, ma non lo riconoscono. Gesù li provoca, parlano di cosa è accaduto a Gerusalemme, Gesù fa il gesto proseguire, ma loro lo invitano a casa loro. Lo riconoscono nello spezzare il pane, nel gesto dell’ultima cena che preannunciava il significato della morte in croce. Una morte che non è solo un rifiuto, l’esecuzione di una pena capitale, ma che da parte di Gesù, è il darsi perché noi abbiamo a vivere una vita nuova, la sua con lui. Davvero questa Pasqua può essere, nella sua semplicità essenziale, la riproposizione non stanca, non monotona, non ripetitiva, di una presenza che ci accompagna nella vita. Magari non sempre la riconosciamo – per tanti diversi motivi – ma senz’altro c’è. Ci sono i segni di questa presenza che è da leggere, da vedere e da ascoltare. È una presenza che si comunica dentro fatti, momenti, incontri. Dentro quel segno debole, ma certo, della comunità di Gesù che da quel mattino di Pasqua ha ripreso ad andare con Lui, riconoscendolo come il Signore. Carissimi, il mio auguri è questo: poter riscoprire, approfondire, puntare nuovamente su questa presenza: è quella del Signore Risorto. È la presenza che ci tiene in piedi, che ci apre un futuro e ci sostiene, anche nelle valli oscure che magari possiamo attraversare in questo momento. È una presenza certa, è una presenza che davvero può dar senso. E lo dà se – come dice il centurione nel vangelo di Marco – sappiamo guardare a Gesù morto in croce come quel Figlio di Dio che è venuto per noi a vincere la sua e la nostra morte. Auguro davvero a tutti che questa Pasqua sia ancora una volta un’apertura ad una speranza che ci è data ed è sostenuta dalla presenza del Signore Gesù. Auguri don Francesco.