Carissima Comunità,
mentre il Natale suscita istintivamente l’immagine di chi si slancia con gioia nella vita, la Pasqua è collegata a rappresentazioni più complesse. È la vicenda di una vita passata attraverso la sofferenza e la morte, di un’esistenza ridonata a chi l’aveva perduta. Perciò, se il Natale suscita un po’ in tutte le latitudini (anche presso i non cristiani e i non credenti) un’atmosfera di letizia e quasi di spensierata gaiezza, la Pasqua rimane un mistero più nascosto e difficile. Ma tutta la nostra esistenza, al di là di una facile retorica, si gioca prevalentemente sul terreno dell’oscuro e del difficile.
Penso a tutti coloro che sentono nella carne, nella psi- che o nello spirito lo stigma della debolezza e della fragilità umana: essi sono probabilmente la maggioranza degli uomini e delle donne di questo mondo. Per questo vorrei che la Pasqua fosse sentita soprattutto come un invito alla speranza anche per i sofferenti, per le persone anziane, per tutti coloro che sono curvi sotto i pesi della vita, per tutti gli esclusi dai circuiti della cultura predominante e per chi, a vario titolo, non si sente più invogliato a vivere seriamente la propria fede.
Vorrei che il saluto e il grido che i nostri fratelli dell’Oriente si scambiano in questi giorni, «Cristo è risorto, Cristo è veramente risorto», percorresse le corsie degli ospedali, entrasse nelle famiglie sempre meno credenti, nelle celle delle prigioni; vorrei che suscitasse un sorriso di speranza anche in coloro che si trovano nelle sale di attesa per le complicate analisi richieste dalla medicina di oggi, nell’esistenza di chi si trova a essere senza lavoro oppure privo di ogni principio di bene.
La domanda che mi faccio è: che cosa dice oggi a me la Pasqua? E che cosa potrebbe dire anche a chi non condivide la mia fede e la mia speranza? Anzitutto la Pasqua mi dice che «le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi» (Rom 8,18). E poi, come cita S. Paolo nella seconda Lettera ai Corinzi: «Per questo non ci scoraggiamo, ma anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno. Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria, perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono d’un momento, quelle invisibili sono eterne».
Non fermiamoci, non scoraggiamoci, non permettiamo al peccato di annerire le coscienze e non sentire più l’esigenza dell’amore della Trinità santissima. La speranza sia effettivamente quel filo che ci lega a Dio e ci permette di superare tutte le assurdità della vita presente. Sia la nostra Comunità, alla luce emanata nei nostri cuori dal Risorto, quella fucina straordinaria da dove nascono frutti meravigliosi di inspiegabile originalità e grande fede ! Rinnovati auguri, Cristo è veramente Risorto. Alleluia!
don Francesco, parroco.
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